OSEI BUDEI FRADEI

OSEI BUDI FRADEI

di e con ENRICO BONAVERA
e con:
Mattia Locchi, fisarmonica
Giacomo Bertazzoni,  sassofono e percussioni
Davide Turolla,  chitarra acustica
maschere di DONATO SARTORI
Stefano Perocco, Cesare Guidotti, Ferdinando Falossi,

 

 

Un piccolo cimitero di campagna, dimenticato nella Pianura.

Lì, insieme al ricordo di frammenti di una parte della mia famiglia, riposano idealmente anche alcune maschere, parenti dello shakespeariano Yorick.

Incorniciati tanto da ricordi di piatti mantovani e dal sogno del cibo del Paese di Cuccagna, quanto dal profumo degli innumerevoli modi di condire la Polenta, alcuni Arlecchini vengono chiamati a raccontare la propria morte.

Morti trasfigurate e paradossali: chi per troppo cibo, chi per fame, chi per paura, chi in piena attività amorosa, chi ancora annegato su un barcone sul Po, mentre era diretto a Venezia.

Dalle loro parole, dai loro suoni ‘masticatori’, è rievocato un mondo padano che, ingoiato da impianti industriali, strade e cemento, ormai più ancora che dalla nebbia, sta via via perdendo la sua identità e la sua storia.

Per questo viaggio, tragicomico e un poco lugubre, ho scelto come compagne, a me attore/narratore, le poesie in dialetto di Cesare Zavattini, una delle figure significative del nostro ‘ 900, mai abbastanza ricordato, a cui dobbiamo straordinari soggetti e sceneggiature del nostro cinema del secolo scorso.

Ma OSEI BUDEI FRADEI è anche la risposta ad una sfida: oltre alla sua presenza nelle farse della Commedia dell’ Arte e nelle commedie di Carlo Goldoni, Arlecchino ha ancora qualcosa da raccontare a noi del terzo millennio? la sua umanità archetipica può essere ancora a noi contemporanea?

‘O vést an funeral acsé puvrét
c’ an ghéra gnanc’ al mort
dentr’ in dla cassa.
La gent adré i sigava.
A sigava anca mé
Senza savé al parché
in mes a la fumana.

Alvé la man ch in s’ grata mai i coiòn.
Me am capit’ in promavera s’a m’ inochi a vardà
Li palpogni ca sbat cuntra i lampion.

Li bali ad me nonu Giuvanardi
Li m’ acurdava coli
Dal tor di Bos chi fumava in dla stala.
Nud cum l’ urinal in man
L’ era cme quand
A piov in sna lamér,
l’ an finiva mai,
po’ cman sufiòn smuzada la candela
al runfava proma ca sparés
l’ udur dla sera.

(Cesare Zavattini)

 

 

 

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